Le confraternite e la religiosità popolare a Momiano

Pubblichiamo qui il testo della relazione tenuta dal prof. Rino Cigui il 27 marzo 2015 a Momiano nell’ambito del ciclo di conferenze organizzato per sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni per la salvaguardia dell’antico castello di Momiano. 

Trattare anche solo superficialmente il tema delle confraternite istriane costituisce un impegno tutt’altro che agevole, data l’estrema complessità dell’argomento che si riferisce a una miriade di piccole e grandi entità le quali, pur fruendo di un denominatore pressoché comune, esprimono realtà peculiari e spesso addirittura diverse, manifestatesi nel corso di un ampio lasso di tempo e come tali difficili da ordinare all’interno di un discorso storico strettamente unitario.

Da ciò scaturisce forse la difficoltà, da parte della storiografia istriana, nell’affrontare il fenomeno confraternale nel suo complesso. Solo di recente infatti gli studiosi si sono cimentati in opere di sintesi che hanno permesso di chiarire le molteplici problematiche che il fenomeno ha posto e tuttora pone. Va ad ogni modo sottolineato che lo studio delle confraternite, oggetto in passato di scarsa attenzione, ha avuto in tempi recenti un nuovo impulso grazie alle indagini negli archivi parrocchiali, vescovili e statali che hanno portato alla luce esaurienti fonti, la cui esegesi ha consentito di allargare e approfondire le nostre cognizioni su tutta una serie di problematiche sociali, economiche e religiose affatto marginali nelle vicende storiche della nostra penisola.

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Qualche cosa assomigliante alle confraternite era presente tra le popolazioni ebraiche, nei sodalitates e nei collegia romani, e anche nella Chiesa delle origini è possibile cogliere tracce di quell’associazionismo cristiano che trovò espressione nella preoccupazione per il mantenimento dei sepolcri dei martiri e degli altri cristiani, nella pratica di forme d’assistenza, nella manutenzione delle chiese e degli altari come pure nell’edificazione di nuovi edifici di culto. Una volta rafforzatasi, la Chiesa sostenne con forza tali associazionismi, ben visti anche dalle autorità civili, e le confraternite, forti di tale appoggio, si consolidarono quale aspetto caratteristico della società medievaPerfettamente integrate nel contesto sociale ed economico della comunità, esse condivisero con il clero ufficiale la gestione del sacro e l’organizzazione dei riti e dei comportamenti religiosi, rappresentando per i laici uno strumento di presenza attiva, forti della coscienza di un proprio ruolo e di una certa autonomia all’interno della chiesa, e uno spaccato di testimonianza sui modelli di comportamento sociale, sulle forme di aggregazione e di controllo della collettività.

 

L’esperienza istriana

Le confraternite sorsero e si svilupparono quali corporazioni ecclesiastiche composte da fedeli in prevalenza laici che si associavano con l’intento di dedicarsi alla vita cristiana attraverso opere di carità e per mezzo di una rigida disciplina interna, sulla scia del movimento spirituale legato al francescanesimo. Esse costituivano delle associazioni tipiche di epoche in cui la coscienza religiosa era molto diffusa e nelle quali la popolazione partecipava attivamente al processo di elezione parrocchiale, nell’amministrazione della chiesa e nella gestione dei beni ecclesiastici, nella cura dei poveri e degli ammalati. Inizialmente esse nacquero e si diffusero in modo spontaneo o quali associazioni in cui si radunavano particolari profili professionali: tali erano, ad esempio, la Confraternita di S. Martino, che raggruppava i contadini, di S. Nicolò, la quale associava i marittimi, di S. Pietro o di S. Andrea, in cui confluivano i pescatori. La loro sede era stabilita presso gli edifici di culto da esse curate, dove sviluppavano riti e funzioni riservate sia ai confratelli sia alla cittadinanza, sottolineando così l’aspetto sociale della loro attività e l’interazione esistente fra i soci aderenti e la comunità dei fedeli. 

Le confraternite ebbero grande sviluppo tra il XIV ed il XVIII secolo, periodo durante il quale si diffusero in modo capillare in tutta la penisola istriana divenendo sovente importanti e potenti economicamente. In effetti, se da un lato continuarono a mantenere quel ruolo e quelle attività sociali, caritative e religiose per cui sorsero, dall’altro esse fomentarono tutta una serie di rigidi interessi e speculazioni a scopo di lucro ed ascesa sociale ed economica dei singoli aderenti, vanificando talvolta le peculiarità religiose. Tali sodalizi diventarono pertanto dei fattori socio – economici sempre più potenti, visto l’enorme patrimonio fondiario che si trovarono a gestire e le ricchezze che incameravano. L’apice della loro espansione fu raggiunto tra il 1650 e il 1730, mentre nella seconda metà del Settecento cominciò la lenta agonia e il declino delle scuole laiche. Ad affievolirsi fu soprattutto lo spirito associativo e lo slancio entusiastico che ne aveva decretato la costituzione, per cui le autorità civili, soprattutto quelle facenti capo ai sovrani assolutistici illuminati, iniziarono a sferzare dei duri colpi alla vita delle confraternite. Esse furono soppresse in parte da Giuseppe II nel 1784 e definitivamente da Napoleone Bonaparte. Infatti, con i Decreti sopra le Confraternite e le Fabbricerie, emanati il 26 maggio 1805 ed il 26 aprile 1806, seguiti dalle risoluzioni della Direzione delle Province Illiriche datate 15 aprile e 30 settembre 1811, si abolirono tutte le confraternite istriane simbolo dell’antico regime, ad eccezione di quelle dedicate al SS. Sacramento ed alla Congregazione delle anime del Purgatorio le cui rendite, si pensava, sarebbero state sufficienti “al mantenimento del divin culto nelle chiese”. 

Con la soppressione vennero meno l’espressione religiosa e caritativa laica ma anche qualsiasi forma di controllo civile sull’organizzazione ecclesiastica. Una volta affermatesi le strutture parrocchiali e l’azione pastorale della Chiesa diminuì anche il sostegno ecclesiastico al ruolo delle confraternite, per  cui si assistette al fallimento di ogni tentativo attinente una loro rifondazione su base puramente devozionale. Spogliate della loro attività creditizia, educativa e di beneficenza, la loro esistenza perse lentamente senso e il laicismo venne a sua volta incluso nell’attività delle cosiddette Fabbriche, istituite presso i vari edifici ecclesiastici. 

Superata, però, l’esperienza napoleonica le confraternite ripresero vigore, ma viste le mutate situazioni politiche, sociali ed organizzative religiose, svolsero un ruolo del tutto diverso e ridimensionato rispetto alla loro precedente e millenaria storia. Esse, pertanto, furono subordinate alle parrocchie ed i loro compiti limitati all’ambito devozionale. 

Le confraternite e la religiosità popolare a Momiano

A Momiano la religiosità popolare si manifestò sia attraverso l’erezione delle edicole votive, quelle particolari espressioni di religiosità privata e popolare che punteggiano tutto il territorio rurale, sia attraverso la fondazione di numerose schole o confraternite religiose.

Una delle più antiche attestazioni relative alla presenza di questi sodalizi a Momiano la troviamo in un documento risalente alla metà del XVI secolo, nel quale si rileva che le scuole,  “tralasciate quelle di Berda sono 14”, senza contare “una molto riguardevole eretta in essa chiesa Parrocchiale di Momiano de Sacerdi (…) sotto il nome di Confraterna del Santissimo Nome di Dio”. Il cardinale Agostino Valier nella sua visita alla Diocesi emoniense, iniziata il 25 gennaio 1580, rilevava a Momiano la presenza delle scuole del Corpo di Cristo, di S. Martino, di S. Maria, di “S. Sebastiano in villa Sorbari”, di “S. Giorgio de Oscoro” e di S. Giovanni di Merischie, mentre anche le chiesette campestri di S. Caterina, S. Mauro e S. Rocco erano governate da confraternite. La relazione stesa a seguito della visita non ci fa sapere lo stato patrimoniale di queste societates, né ci fornisce nozioni sulle entrate e su come queste venissero gestite. Tuttavia, è noto che quest’ultime derivavano dall’affitto di vigneti, oliveti, boschi, abitazioni, elemosine e dai lasciti testamentari dei confratelli. Ma erano soprattutto questi ultimi a rappresentare la più cospicua fonte di reddito, in quanto ogni testamento contemplava una clausola in base alla quale le confraternite erano in obbligo di officiare un determinato numero di messe per l’anima del defunto, riscuotendo così forti somme in denaro e talvolta anche beni stabili. Un primo ragguaglio sulle entrate e spese delle confraternite di Momiano lo si può desumere da un censimento delle “Scuole et confraterne della Provincia per commissione dell’Ecc.mo Senato” ordinato, nel 1675, dal podestà e capitano di Capodistria Lorenzo Donato, in base al quale le 12 scuole del territorio avevano entrate per 2858 e spese per 2004 lire. La crescita numerica dei sodalizi registrata sia a Momiano sia in tutti gli ambienti istriani dalla metà del XVII secolo fu, secondo l’Ivetic, un fenomeno senza paragoni su scala adriatica che si protrasse fin verso la metà del Settecento; la conferma di questa generale tendenza la troviamo nel “Prospetto delle Scuole laiche dell’Istria e delle loro renditte nel 1741” stilato dal podestà e capitano di Capodistria Paulo Condulmer, nel quale il numero dei sodalizi momianesi rimane pressoché invariato.

Nella seconda metà del secolo, però, la situazione patrimoniale delle confraternite momianesi, al pari di quelle istriane, precipitò: la deficienza finanziaria, le malversazioni e il malgoverno da parte degli amministratori, le difficoltà nella riscossione dei debiti, lo stato di abbandono delle proprietà generarono un atteggiamento di sfiducia verso queste associazioni che, a quanto pare, manifestavano un interesse maggiore verso attività tutt’altro che religiose ed assistenziali. La reazione delle autorità competenti non si fece attendere e, nel 1782, il podestà e capitano di Capodistria Galeazzo Antelmi ordinò che le 12 scuole momianesi fossero incorporate in modo tale da ridurre “al Numero di tre i Luochi Pij di essa Giurisdizione di Momiano”. Nella Scuola di S. Martino confluirono le confraternite di S. Niccolò, S. Mauro, S. Pietro, S. Girolamo, S. Ruffo; nella scuola della Beata Vergine degl’Angeli quella di  S. Rocco, mentre nella confraternita di S. Giacomo della Villa di Berda furono inserite quelle di S. Maria Maddalena, della SS.ma Trinità e dei Santi Giovanni e Paolo. Ai gastaldi, che si trovarono ad amministrare il patrimonio delle confraternite, fu imposto di adempiere ai loro obblighi dietro compenso del 2% delle rendite annuali. Dopo la soppressione francese ed il ritorno dell’Istria sotto l’amministrazione austriaca, queste forme associative presero nuovo vigore, basti ricordare la costituzione della confraternita dell’Immacolata Beata Maria Vergine di Momiano sorta nel 1855 a seguito del colera che segnò profondamente la località. 

Le edicole votive (capitei)

Tra i molteplici segni del sacro le edicole votive rappresentarono, e rappresentano tutt’oggi, uno dei segni tangibili della presenza cristiana sul territorio, in quanto espressioni genuinamente popolari della fede messe in atto spontaneamente dalla pietà popolare. La loro erezione ottemperava a tutta una serie di finalità: consacrare la propria contrada, manifestare la propria devozione particolare a un Santo, celebrare con un ex – voto una grazia ricevuta, cingere di un alone sacro i luoghi della comunità in funzione di difesa contro le avversità della natura e le potenze diaboliche. Essi, infatti, hanno ereditato la funzione civile e religiosa propria dell’epoca greco-romana in cui il convergere di strade era sacralizzato con un’erma raffigurante una divinità (principalmente Hermes, il protettore dei viandanti). Posti di frequente lungo le strade, agli incroci o lungo sentieri di campagna, i capitelli fungevano da tappa nelle processioni per l’Ascensione e il Corpus Domini oppure vi si svolgevano specifiche cerimonie a cadenza annuale legate alla dedica di un santo protettore o alla Vergine. Tali costruzioni rappresentavano le manifestazioni concrete di una componente fondamentale della cultura delle classi subalterne e, più precisamente, una forma di architettura popolare condivisa dalla maggior parte della popolazione. 

Dal punto di vista tipologico essi si distinguono per la molteplicità delle forme e dimensioni che le caratterizzano: quelle più comuni consistono in semplici nicchie ricavate nelle facciate degli edifici, in pilastri monolitici alti e stretti  oppure in vere e proprie chiesette. Le epigrafi poste sulle edicole sono quasi esclusivamente otto – novecentesche, e consistono solitamente in una dedica specifica, nella memoria di un avvenimento o recano il nome di uno o più committenti. L’iconografia più ricorrente è quella mariana (Madonna della Misericordia, Madonna di Lourdes, Madonna Addolorata), ma sono numerosi pure i capitelli intitolati a S. Antonio, il protettore degli animali per eccellenza, che si riscontrano numerosi in società prettamente agricole.

Rino Cigui – Momiano, 27 marzo 2015